< Pagina:De Roberto - Spasimo.djvu
Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta.

i ricordi di roberto vérod 75

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|De Roberto - Spasimo.djvu{{padleft:87|3|0]]vedere che l’argomentazione rispondeva al vero più ch’ei non credesse!

Ella non aveva pensato alla morte per fuggire il dolore. Il dolore era la stessa legge della vita, diceva. Non che fuggirlo, bisognava far consistere il dovere e la gioia nel sopportarlo serenamente. Ella aveva voluto sottrarsi al male. Lo aveva affrontato per distruggerlo; era discesa fino ad esso per un’opera di redenzione. La forza dell’amore le era parsa così grande da trionfare, immancabilmente. Passando sopra alle leggi umane e, prova maggiore, alle divine, aveva sperato di farle accettare all’uomo che le negava e le combatteva, tutte. Ella stessa era caduta nell’errore per evitare che egli continuasse a consumarlo, perchè egli credesse a qualche cosa di bene. Dal sogno superbo s’era destata impotente, piagata, avvilita ella stessa. L’amor suo era stato disprezzato, le sue preghiere schernite, la sua fede offesa; l’opera di distruzione era continuata più alacre di prima; ella che aveva voluto impedirla se n’era sentita complice. Allora aveva riconosciuto troppo tardi che la via tenuta doveva fatalmente avere quell’uscita; il suo inganno le era parso immeritevole di perdono: allora aveva pensato alla morte. Nel punto che le conseguenze dell’inganno fatale le apparivano più gravi, quando l’ultimo lume di speranza erasi spento, Roberto Vérod l’aveva incontrata; e come egli aveva attinto in lei la salute, ella

stessa s’era

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.