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76 | spasimo |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|De Roberto - Spasimo.djvu{{padleft:88|3|0]]sentita rivivere. Cieco, egli aveva visto per lei; piagata, ella era stata sorretta da lui. Lungamente quella mutua salvazione era rimasta ignota ad entrambi. Nessuno dei due, sentendosi rinascere per opera dell’altro, aveva creduto possibile che un eguale miracolo si fosse prodotto per sua propria virtù. Nei primi tempi egli s’era appagato della vista di lei, era vissuto nella sua luce, nessuna gioia imaginando maggiore. Quando ne aveva concepita e intraveduta un’altra, allora era fuggito.
Girando intorno lo sguardo per la cerchia dei monti grigi nel lume di luna, egli ricordava ora l’alba della fuga, l’alba livida e fredda, il lago plumbeo flagellato dal vento, irto di onde opache. Egli fuggiva senza esitare. La speranza, la certezza di rivederla lo sorreggevano. Quando, dove? Non sapeva. Ma l’avrebbe rivista. E la portava nell’anima. Non aveva pianto, con l’anima piena di lei. Sulla riva, all’improvviso apparire del battello, grigio sulle acque grige, ansante e tangheggiante, s’era sentito chiudere il cuore. Finchè erano rimaste visibili, i suoi occhi non avevano lasciato le sponde di Ouchy, le alture di Losanna. E nulla rammentava del viaggio, altro che alcune rapide scene. Aveva vegliato tutta la notte prima di fuggire, scrivendo. Sapeva che non avrebbe potuto mandarle altro che una parola di saluto:
ma aveva scritto tutta la notte. Sul battello un