< Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

— 158 —

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu{{padleft:164|3|0]]

— Son donne perdute, dunque!

Anania rientrò a casa pallido e ansante, e la padrona si accorse del suo turbamento.

— Ma che cosa ha? — gli disse. — Si è spaventato? Son donne allegre, coi loro.... giovanotti; e si azzuffano per gelosia. Ma le faranno andar via; abbiamo ricorso alla Questura.

— Di che paese sono? — egli domandò.

— Una è cagliaritana; l’altra, credo, del Capo di Sopra.

Le urla raddoppiavano; si distingueva la voce d’una donna che si lamentava quasi l’avessero ferita a morte.... Dio, che orrore! Anania tremava, e attratto da una forza irresistibile corse ad aprire il balcone. In alto, sul cielo purissimo, la luna e le stelle: in basso, ai piedi del vaporoso quadro della città, quel gruppo di demoni, quelle grida di rabbia, quelle parole abbominevoli.... Ed Anania stette a guardare angosciosamente, con l’anima oppressa da un tremendo pensiero....



— Fate che ella sia morta, Dio mio, Dio mio! Abbiate pietà di me, Signore! — singhiozzava egli a tarda notte, tormentato dall’insonnia e dai tristi pensieri.

L’idea che una delle donne che abitavano le casette rosee potesse essere sua madre era svanita, dopo le informazioni date, durante il pran-

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.