< Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

— 210 —

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu{{padleft:216|3|0]]

Pochi momenti prima della partenza zia Varvara gli consegnò un piccolo cero, perchè lo offrisse per lei alla Basilica dei Martiri, a Fonni, e Maria gli diede una medaglia benedetta dal pontefice.

— Se lei non la vuole, miscredente, la porti alla sua mamma, — gli disse, sorridendo, un po’ commossa. — Addio, dunque, e buon viaggio e buon ritorno. Si ricordi che la camera resta a sua disposizione. E faccia da bravo, e mi scriva subito una cartolina.

— Arrivederci! — egli gridò dal basso della scala, mentre Maria, curva sulla ringhiera, lo salutava ancora con la mano.

— Figlio del cuoricino mio, — disse zia Varvara, accompagnandolo fino alla porta, — saluta per me la prima persona che incontri in terra sarda. E buon viaggio e ricordati del cero.

Lo baciò lievemente sulla guancia, piangendo, ed egli fu tentato di risalire le scale per vedere se anche Maria Obinu piangeva: poi sorrise della sua idea, abbracciò zia Varvara, chiedendole scusa se qualche volta l’aveva fatta stizzire, e si allontanò.

Tutto sparve; la vecchia che piangeva il suo esilio dalla patria diletta, la strada melanconica, la piazza in quell’ora deserta e ardente, il Pantheon triste come una tomba ciclopica; e Anania, col viso accarezzato dal vento di ponente, provò un senso di sollievo, come svegliandosi da un incubo.

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.