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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu{{padleft:241|3|0]]
— Al diavolo chi vi ha formato! — imprecò la bella ragazza. — Questo è un po’ troppo! Lasciatemi o.... svelo!
Ma i due la pizzicarono più forte.
— Ahi! ahi! Al diavolo! Rebecca, è inutile che tu faccia la gelosa.... ahi! zia Tatàna stassera.... è andata a chiedere.... parlo o no? Ah!...
Anania si ritrasse, chiedendosi come mai la indiavolata Agata sapeva....
— Cuoricino mio, un’altra volta rispetta zia Agata! — ella disse sogghignando, mentre Rebecca, che aveva capito, taceva, impietrita, e zia Sorichedda domandava:
— Fammi il piacere, Nania Atonzu, dimmi, chi a Nuoro può avere mille scudi in oro?
Anche il contadino s’avvicinò e chiese:
— Dimmi, Nania, è vero che il papa ha settantasette donne ai suoi comandi?...
Anania non rispose, forse non intese neppure: vedeva una figura avanzarsi dal fondo della straducola e si sentiva venir meno. Era lei, la vecchia colomba messaggera, era lei che tornava portando fra le pure labbra, come un fiore di vita o di morte, la parola fatale.
Egli si ritirò e chiuse la porticina che dava sul cortile, mentre zia Tatàna rientrava dall'altra parte e chiudeva la porta di strada. Ella sospirava ed era ancora un po’ pallida e oppressa; s’avvicinò al focolare, e i suoi primitivi gioielli, i suoi ricami, la cintura, gli anelli, scintillarono al riflesso del fuoco.
Anania le corse incontro e la guardò ansioso,