< Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

— 280 —

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu{{padleft:286|3|0]]

— Avete qualche carta?

— Cosa?

— Qualche carta, spiegò zia Grathia. — Sì, la fede di nascita?

— Sì, la fede di nascita, — ella rispose toccandosi il petto. — L’ho qui.

— Fate vedere.

Ella trasse una carta gialliccia, macchiata d’olio e di sudore, mentre Anania ripensava amaramente alle ricerche e alle indagini fatte per scoprire se Maria Obinu possedeva carte rivelatrici.

Zia Grathia prese la carta e gliela diede; egli la svolse, la lesse, la restituì.

— Perchè ve la siete procurata? — domandò.

— Per sposarmi con Celestino....

— Il cieco, — spiegò la vedova, e aggiunse borbottando: — quell’immondezza vile.

Anania tacque, e continuò a camminare su e giù per la cucina: il vento sibilava incessantemente intorno alla casetta; dalle fessure del tetto piovevano alcune striscie di sole che disegnavano fantastiche monete d’oro sul pavimento nero. Anania camminava divertendosi automaticamente a mettere i piedi su quelle monete, come usava una volta, da bambino: si domandava che cosa gli restava da fare e gli sembrava d’aver già esaurito una parte del suo grave compito.

— Io ora chiamerò di là zia Grathia, — pensava, — e le consegnerò i danari perchè le compri le vesti e le scarpe e le dia da mangiare,

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.