< Pagina:Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

— 289 —

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Deledda - Cenere, Milano, 1929.djvu{{padleft:295|3|0]]del fuoco, impassibile e pallida come uno spettro: ma questa volta ella non narrava alla sua ospite le storie del marito, e non osava confortarla. Solo, di tanto in tanto, la supplicava inutilmente di andare a letto.

— Andrò se mi fate una carità, — disse finalmente Oli.

— Parla.

— Chiedetegli se egli ha ancora la rezetta che gli diedi il giorno che siamo fuggiti di qui; e pregatelo di farmela vedere.

La vecchia promise, e Olì si alzò: tremava tutta, e sbadigliava tanto che le sue mascelle scricchiolavano. Tutta la notte vaneggiò, arsa dalla febbre; ogni tanto chiedeva la rezetta e si lamentava infantilmente perchè zia Grathia, coricatale a fianco, non si alzava e non andava da Anania per chiedergliela.

Un dubbio le attraversava la mente in delirio: che Anania non fosse suo figlio. No, egli era troppo crudele e spietato; ella, che era stata la vittima di tutti, non poteva convincersi che suo figlio dovesse torturarla più degli altri.

Nel delirio raccontò a zia Grathia che aveva attaccato al collo di Anania quel sacchettino per riconoscerlo quando sarebbe stato grande e ricco.

— Io volevo andare a trovarlo un giorno, vecchia vecchia, col bastone. Dun! dun! picchiavo alla sua porta. «Io sono Maria Santissima trasformata in mendicante!» I servi ridevano e chiamavano il padrone. «Vecchia, che cosa

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.