< Pagina:Deledda - Chiaroscuro.djvu
Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta.

padrona e servi 115

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Deledda - Chiaroscuro.djvu{{padleft:121|3|0]]

Il vecchio servo s’irritò.

— Ciarle! Io non so nulla. Soltanto so che la mia padrona non ha mai guardato altr’uomo che suo marito....

— ... E il padrone allora andava dietro le processioni, con lo stendardo e la croce, domandando ai santi di scioglier l’incantesimo. Ma questo era fatto da un prete e non si poteva sciogliere; e così egli invecchiò, innamorato di tutte le donne fuorchè di sua moglie. Ecco perchè si divertiva fuori di casa.

— Bene, taci, lingua di serpente; tu mangi il loro pane e non devi parlare così.

Ma il servo giovane rideva, sogghignando, e i suoi denti canini brillavano come perle.

    Mentre i servi pastori compievano l’esodo attraverso la tanca verde e oro sotto il cielo azzurro e oro d’autunno, in paese il padrone, sul suo letto di legno, con la bottiglia sul tavolino, sognava i suoi puledri, e la padrona lavorava con le sue serve. Gli uomini erano tutti partiti, con le loro bisacce colme di pane d’orzo, chi a cavallo, chi a piedi, chi col carro, chi verso l’oliveto e chi verso il salto per seminare il grano. La casa era grande e le serve avevan sempre da fare: una versava il frumento nel moggio nella mola romana, un’altra travasava l’olio; la più giovane, con la vita sottile e i fianchi prominenti, andava su e giù, scalza ed

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.