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Anche quando non aveva udienze, e questo oramai gli succedeva spesso perchè essendo i tempi difficili la gente esitava prima di mettersi a litigare e sempre per la stessa ragione anche gli avvocati di grido, gli ex‐professori e gl’impiegati in ritiro facevano i procuratori, Elia Carài andava egualmente alla Conciliazione, si metteva a sedere nella sala d’aspetto e appoggiando il taccuino al ginocchio o al muro scriveva versi in dialetto per sua moglie. Intorno era un mugolio di tempesta; la folla andava e veniva, le donnicciuole convenute là per cause di pochi soldi si ingiuriavano, tragiche e solenni quasi avessero a spartirsi il mondo, gl’imbroglioni pronti a giurare che non dovevano nulla al proprio creditore passavano a testa alta, sporgendo il petto; i procuratori più affamati dei loro clienti andavano dall’uno all’altro meditando il modo di appropriarsi qualche foglio di carta bollata: Elia non si meravigliava di nulla.

Su mundu lu connosco e donzi cosa
Chi succedit succedere deviat

scriveva nei suoi versi arcaici dedicati a sua moglie.
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