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12 | chiaroscuro |
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Sabéra riattaccò la busta con la saliva, e ci mise su il ferro da stiro: adesso capiva tante cose, e si pentiva di non aver aperto prima le lettere del suo pigionale e di avergli prestato fede e usato rispetto.
— Hai veduto quel mascalzone? — domandò al piccolo Sidòre, quando questi si appoggiò al muro accanto alla sua porta.
— È dal Milese che gioca; è nero in viso come la polvere da sparo e diceva d’aver la febbre.
— Fammi il piacere, portagli questa lettera. Sai che non sta più qui? Io non voglio più vederlo neanche dipinto....
— Meglio! Così ti deciderai. Che pensiamo, Sabè? Ti rimodernerò tutta la casa, solleverò il pavimento che è tutto ammaccato, rifarò la scala nuova.... Che pensiamo, Sabè?
— Stasera ho mal di testa; sono molto arrabbiata. Domani sera ti darò una risposta decisiva.
Egli insisteva: ella ripeteva:
— Domani, domani.
L’indomani Cáralu ritornò: aveva la febbre e si mise a letto, e stringeva; denti minacciando col pugno un essere invisibile; ma ogni tanto rileggeva la lettera di sua madre e si calmava.
Sabéra si curvò sul viso ardente di lui.
— Mangia qualche cosa, anima mia, sta tranquillo, tutto passerà....
Egli la fissava attonito, quasi la vedesse