< Pagina:Deledda - Chiaroscuro.djvu
Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta.
236 la festa del cristo

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Deledda - Chiaroscuro.djvu{{padleft:242|3|0]] avevano quasi tutti il viso pallido, gli occhi neri un po’ obliqui e lunghi baffi sottili a punta ricadenti sul mento.

Le campane suonavano accompagnandoli: la gente correva sul ciglione per veder da lontano, la cavalcata sparire lentamente dietro lo stendardo rosso e oro che s’agitava sullo sfondo verde del sentiero come una farfalla sull’erba.

Ma un ritardatario richiamò l’attenzione dei curiosi. Arrivò di galoppo su un bel puledro rosso: veniva dai campi rocciosi al di là del paese. In un attimo, senza rispondere alle domande e ai gridi della gente che si tira in là per non esser calpestata dal puledro quasi indomito, anche lui fa parte della cavalcata e ne sembra il capo, tanto è alto e forte, con la barba rossiccia come la criniera del suo cavallo.

Il vecchio che andava subito dopo prete Filìa si volse un po’ sulla sella, poi si sporse in avanti.

— Compare Filìa, c’è anche Istevene, il figlio di serva vostra.

Il vecchio prete, col rosario nero intrecciato alle lunghe dita storte, non si volse neppure.

— Sarà tornato adesso dall’ovile.

— Ha un puledro rosso bello come l’oro.

— L’avrà comprato col denaro degli agnelli, — disse il vecchio prete senza voltarsi.

Ma il suo viso si fece scuro, come il monte sotto l’ombra di una nuvola che era venuta su di volo come un uccellaccio.

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.