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la festa del cristo | 249 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Deledda - Chiaroscuro.djvu{{padleft:255|3|0]] mità dello spiazzo si vedeva il monte bianco e verde incombere sul paese in rovina, e un palmizio protendersi da un muricciuolo come per ascoltare l’insolito brusìo del luogo tutto l’anno deserto.
Ma a un tratto, mentre i sacerdoti dentro chiesa riprendevano a cantare il Vangelo dopo il sermone, una donna salì correndo da una straducola erta, irruppe in mezzo agli uomini che bevevano il vino bianco versato da un rivenditore, e domandò ansando se c’era per caso il dottore di Orosei.
— Che c’è stato, Pattòi?
— Il cavallo di uno straniero ha dato un calcio al nipotino di Efiseddu Portolu. Il bambino sembra morto. Corrette....
Essi corsero, qua e là, in chiesa e per il paese: ma il dottore d’Orosei non c’era.
In un attimo la notizia si sparse tra la folla: quando prete Filìa, più che mai nero fra i suoi paramenti bianchi, si volse a benedire, vide le donee, prima così assorte, volgersi indietro e bisbigliare, e istintivamente guardò dove poco prima aveva veduto Istevene inginocchiato con la berretta sull’omero.
Istevene non c’era più.
Allora prete Filìa sentì un colpo al cuore e capì che una nuova disgrazia era accaduta. Le ginocchia gli si piegarono; parve cadere in avanti, ma tosto riprese l’equilibrio e intonò la preghiera con la voce tremula come il belato di un capretto.
Quando s’alzò vide che la chiesa era già