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262 | un po' a tutti |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Deledda - Chiaroscuro.djvu{{padleft:268|3|0]] cuore semplice ne soffriva come di un dolore proprio. Le sarebbe piaciuto volare, come i corvi ed i nibbi, fin lassù, e liberare la povera anima; ma nè corvo nè nibbio era; una debole canna era, ferma nel suo cantuccio sebbene con tutte le foglie frementi.
La voce della padrona la richiamò, ed anche Istasi si volse a sorriderle; entrambi risalirono baciandosi e ridendo il sentieruolo fino alla casa, dove i gridi d’amore della madre accolsero il bambino, — il bello grande, il predio, il tesoro di chiesa, la stella del mattino, — senza che egli si commovesse. Non aveva fame, e solo continuava a morsicare il viso di Barbara.
— Eccolo, — disse la madre gelosa, — anche lui come il padre; non mi vuol bene, mi cerca solo quando vuol succchiare.
Lo strappò alla servetta e denudò il seno bianco e violaceo; ma il bambino ogni tanto abbandonava il capezzolo per volger la testina e sorridere a Barbara.
— Vattene, piedi di pavone, — disse la madre gelosa, — aiuta ad apparecchiare; mettete le posate buone.
Ma appena Barbara si allontanò, strascicando i piedi davvero un po’ larghi, Istasi cominciò a piangere, e la madre dovette ridarglielo.
— Va, vattene fuori, piedi di pavone.
Barbara uscì nel cortile e cominciò a dondolare il bimbo, canticchiandogli sottovoce una canzonetta di sua invenzione: