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i giuochi della vita 159

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Carina si sollevò sospirando.

— Ti piacerebbe averlo? — chiese Goulliau rivolgendosi alla moglie come ad una bambina. — L’anno venturo l’avrai: allora saremo ricchi.

— Già! Già! — disse brutalmente il Calzi. — L’avrete più grosso di questo. Senti, senti! Senti il ginepro, senti che aroma, senti che delicatezza! Sono veri o finti quei cagnolini? Signora Caterina, non si lecca le labbra?

— Sembra acquavite — disse Carina.

— Già, già, acquavite! — esclamò offeso il Calzi. Uscirono assieme, ma egli rientrò un momento nel bar, poi raggiunse i Goulliau e li accompagnò fino a casa. Risalirono via Nazionale, via Quattro Fontane, via Venti Settembre, ove i Goulliau abitavano all’ ultimo piano di un immenso palazzo. Nella via deserta i quadruplici fanali parevano mostruosi fiori gialli velati di nebbia: nell’angolo della fontana verso il palazzo Barberini una gobbetta bionda rannicchiata su una sedia vegliava il suo piccolo banco di fiammiferi e di giornali. Una tristezza infinita gravava sul quadrivio fangoso, insolitamente deserto, chiuso dagli sfondi nebbiosi; e la gobbetta pareva il genio deforme e melanconico della notte fredda

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