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168 i giuochi della vita

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Deledda - I giuochi della vita.djvu{{padleft:176|3|0]] il mio pensiero; è giusto dunque che io abbassi la mia arte al mestiere di una serva! È giusto dunque che io metta in una triviale appendice il sogno della mia anima, per convertire in pane i soldi che le serve, che i cocchieri, che i fantaccini, lettori dell’appendice, mi daranno per l’ora di gaudio che io ho loro venduto.... Vuol dire....

— Carina, tu ammattisci! — disse il marito coricandosi. — Càlmati; io non ho voluto dire.... Carina mia!...

Cercò di abbracciarla, ma ella lo respinse mettendogli le mani sul petto.

— Piuttosto, vedi, — disse, calmandosi, — vendo il romanzo a qualche persona cretina che lo pubblicherà col suo nome. Mi avvilirò io, ma non avvilirò l’opera mia.

Goulliau ricordò che Calzi aveva avuto la stessa idea, ma non disse niente per non irritare oltre sua moglie. Non manifestò neppure i suoi apprezzamenti su quell’idea che nel Calzi era il principio e in Carina la fine di un ragionamento, ma sentì un profondo disgusto della logica dell’amico e della moglie. Solo osservò:

— Ma la persona che acquista il romanzo può pubblicarlo egualmente in appendice o da un editore popolare.

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