< Pagina:Deledda - I giuochi della vita.djvu
Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta.
172 i giuochi della vita

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Deledda - I giuochi della vita.djvu{{padleft:180|3|0]] Roma una maledizione infernale. Piuttosto che andare ad abitare in un’altra casa, e per non perdere la luce ed il sole della camera da letto, ove Carina passava tutta la giornata, i Goulliau avevano subaffittato due camere del loro appartamentino; ma ciò non bastava, non bastava! Carina aveva licenziato la serva, e preso a mezzo servizio una vecchia cognata del portinaio; ma neppure questo bastava. Con tutto ciò Carina non si disperava; ma quando aveva freddo non riusciva a dominare i suoi nervi; e una tristezza accorata la assaliva, pensando che avrebbe dato alla vita la creatura il cui germe cominciava appena a fecondarsi in lei, prima di aver raggiunto i suoi sogni di benessere.

E quei sogni che prima l’abbandonavano di rado ora cominciavano a sembrarle vani; i suoi nervi si risentivan del freddo come le corde di uno strumento musicale, e la sua anima rifletteva le nuvole autunnali come l’acqua d’un fiume; ma poi bastava il riflesso del sole, un grido d’allodola, la vibrazione dell’aria mattutina, per accordare nuovamente lo strumento e dissipare ogni nuvola.

Quella mattina, quando il marito si svegliò. ella gli rivolse un discorsetto filosofico:

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.