< Pagina:Deledda - Il nonno, 1908.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.
108 grazia deledda

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Deledda - Il nonno, 1908.djvu{{padleft:110|3|0]] d’erba che veniva dalla collina pareva esalato dalle onde. Si aveva l’illusione che anche il mare fiorisse, sott’acqua, come tutto fiorisce in primavera.

Le barche, le paranze, i velieri e i barconi erano partiti al cessare del vento furioso: la punta del molo appariva bianca e rosea come una lingua uscente dal mucchio scuro delle casette dei pescatori: misere casette annerite dalla polvere del carbone e dalla salsedine del mare.

Sdraiato sulla banchina, un vecchio pescatore malato, pareva volesse morire guardando il mare. Qualche cane, qualche gatto, e poche donne con secchie di rame sul capo, animavano la solitudine del molo. E il cielo era alto, d’un azzurro che dava al lilla, e in lontananza alcune nuvolette bianche pareva seguissero le paranze che si dileguavano all’orizzonte, fra cielo e mare.

Il quadro era bello, ma Barbara lo conosceva troppo in tutti i suoi particolari. Anche ad occhi chiusi ella vedeva la linea verde della collina, il semicerchio nero del villaggio, le figure delle donne dalle vesti discinte e i capelli arruffati e scossi dalla brezza del mare. Tutto questo era pittoresco, ma a lungo andare anche noioso; e Barbara era una ragazza moderna, nostalgica e irrequieta. Dacchè era al mare non faceva che sognar la montagna; in montagna avrebbe desiderato il mare. Nei primi giorni s’era alquanto divagata guardando le scene del porto; più che la contemplazione ella amava l’osservazione. Tutte quelle figure che si muovevano sullo sfondo verdognolo dell’acqua tran-

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.