< Pagina:Deledda - Il nonno, 1908.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.
116 grazia deledda

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Deledda - Il nonno, 1908.djvu{{padleft:118|3|0]]

Passarono alcuni giorni. Il tempo era splendido, e Barbara si sentiva sempre meglio: ma a misura che le forze le ritornavano, cresceva in lei il tedio della solitudine. Una mattina ella si provò a lavorare: prese un album, sedette al balcone e disegnò una figura. Ma aveva appena abbozzato la testa, — una testa fine, scura, da efebo malinconico, — che già sentiva un principio di emicrania. No, non poteva lavorare.

— Il lavoro, dicono, è la gioia degli uomini. Non è vero: ne è il tormento, — pensò Barbara buttando l'album per terra, dietro la tenda del balcone. E si mise a contemplare per la millesima volta il quadro del porto e del golfo. La barca di Antoniotto era appena arrivata: i due pescatori anziani tirarono su un cestino pieno di pesci color d'argento, e lo porsero ad un uomo che lo caricò su un carrettino a mano.

Antoniotto, ritto sulla scaletta della barca, con una scodella in mano, guardò il cestino, poi guardò Barbara.

Era la prima volta che egli osava rispondere allo sguardo di lei: pareva le dicesse: — Guarda, non sono un pezzente: guarda che bella rendita ho io!

I loro sguardi s'incontrarono per un attimo.

Ella gli sorrise: egli si turbò talmente che la scodella gli cadde di mano. Ella si domandò perchè gli aveva sorriso, e disse a sè stessa di averlo

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.