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la lepre 155

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Deledda - Il nonno, 1908.djvu{{padleft:157|3|0]]dava i suoi piccini, il tepore del nido, le gioie materne? Non è facile saperlo; ma è certo che verso l’alba essa scese dal suo nascondiglio e andò a vedere i leprotti. Le povere bestiuole dormivano, l’una sull’altra, ma anche nel sonno dovevano aspettare la madre, perchè quando la vecchia lepre si avvicinò allungarono il musino e scossero le orecchie.

E la vecchia li guardava, coi suoi grandi occhi umidi, e anch’essa sporgeva il muso come fiutando l’odore del nido.

Ricominciò a piovere. Per otto giorni e otto notti, un velo grigio di nebbia e di pioggia avvolse e coprì l’isola. Lo stagno parve riempirsi di un inchiostro nero argenteo e l’acqua salì, salì, arrivò fin quasi al rifugio della lepre. Questa aveva tentato di ritornare ancora verso il nido dei leprotti, ma qua e là, intorno al suo rifugio, la sabbia si era spaccata e impregnata d’acqua. Impossibile arrivare fino alla piccola valle. E pioveva e pioveva: s’udiva un rumore lontano, pauroso, come il rombo di un esercito nemico che passasse invadendo e distruggendo ogni cosa.

La vecchia lepre conosceva bene quel rombo, che era la voce cupa del fiume vincitore, e non osava più muoversi dal suo rifugio, tormentata dal freddo e nutrendosi solo con qualche foglia

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