< Pagina:Deledda - Il nonno, 1908.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

il ciclamino 179

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Deledda - Il nonno, 1908.djvu{{padleft:181|3|0]]

— E tu non me lo dicevi! Devo scendere! Devo portarle il fiore!

— Che fiore?

— Un fiore di panporcino. Nel delirio, ieri, ella non domandava altro. Si immagina di ricamare una pianeta e vuol copiare il fiore. Bisogna contentarla. Vado.

Il giovane disse:

— Ah, una pianeta! — e sorrise con un sorriso malizioso. Ma poi sollevò il capo, mormorando: — Sentite?...

Un cane abbaiava: un altro rispondeva in lontananza. I due pastori balzarono fuor della grotta: s’udirono fischi, urla, gridi più rauchi e feroci dell’abbaiar dei cani. La fiamma cessò di tremolare, come ascoltando: il ciclamino si ripiegava ansioso tra i suoi fratellini addormentati.

I due uomini rientrarono, trascinando a viva forza un giovinetto dal viso livido e i folti capelli neri crespi, legato con lacci di cuoio, fra i quali egli si dibatteva disperatamente. I tre uomini tacevano, ma il loro respiro ansante, quasi sibilante, rivelava tutta la loro rabbia. La scena era bella e terribile: ricordava il mondo delle caverne, l’uomo in lotta col suo simile.

Il prigioniero fu portato in fondo alla grotta, legato meglio, con corde di pelo e con una soga la cui estremità venne fermata al suolo con una pietra. Egli non si dibattè oltre; appoggiò il capo scarmigliato al suolo roccioso della grotta e chiuse gli occhi: e parve morto.

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.