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novella sentimentale 57

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Serafino avrebbe voluto dirgli che era un incosciente, ma non volle offenderlo.

Una voce rauca risuonò come il grido d’un gallo, fra l’improvviso silenzio dei soldati.

— Abate!

— Presente.

Era il sergente che cominciava l’appello.

La sera cadeva rapidamente: ad ovest il cielo prendeva un cupo splendore d’acciaio violaceo; tra il ricamo tremulo delle acacie si scorgevano lembi di mare, simili a lastre d’oro dal riflesso violetto, che pareva splendessero di luce propria.

Un lume scintillava in fondo alla strada, nell’interno dell’osteria. A momenti il vento taceva, e allora vibravano più forti le voci diverse dei soldati che rispondevano all’appello: alcune fresche e ardite, altre aspre, ironiche; il musicomane pronunziò il suo «presente» con un grido cadenzato, e la voce di Serafino parve venire di lontano, col vento che portava il sospiro delle canne e degli olivi.

Dopo l’appello i soldati ripresero a cantare; e vibrava qualche cosa di dispettoso nel loro canto rozzo e quasi selvaggio. Pareva volessero dimenticare, urlando, la tristezza e il dispetto di trovarsi esiliati in quel luogo di castigo. Quelli che più urlavano erano i soldati che durante la notte dovevano montar la guardia lungo le coste dell’isola. Uno solo taceva: Serafino.

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