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64 grazia deledda

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Deledda - Il nonno, 1908.djvu{{padleft:66|3|0]] ste voi? Lasciatemi andare, via; siamo tutti fratelli, nel mondo; chissà che un giorno non possa anch’io esservi utile. Ecco, - aggiunse, animato, confidando nel silenzio di Serafino, e volgendosi con le ginocchia verso lo scoglio - io scendo giù qui: la roccia non serba traccie: voi non avete visto niente di niente, e... Dio vi ricompenserà...

Serafino credeva di sognare. Avrebbe voluto dare l’allarme, legare l’uomo, compiere infine quello che i suoi superiori chiamavano «dovere», ma non poteva. Una forza misteriosa, come nei sogni, gli impediva quasi di muoversi. Il soffio ansante e supplichevole del condannato gli destava una profonda pietà, e quasi un senso d’ammirazione per quel vecchio essere che, dall’abisso della sua miseria, anelava ancora alla vita, con tanta fede e tanta passione.

Senza domandarsi se valeva più la sua o la vita del vecchio disgraziato, pensò che forse era giunta l’ora di morire. La sua morte poteva essere interpretata come un omaggio al dovere; no, non doveva lasciarsi sfuggire questa occasione.

— Andatevene - mormorò.

E rimise su il fucile e lo battè al suolo.

L’uomo allora gli abbracciò le ginocchia, in silenzio; poi mise una mano per terra, si sollevò gemendo. Alto, nero nella notte, mormorò una benedizione.

— Figlio mio, voi sarete felice e fortunato: la vostra fortuna sarà grande quanto la vostra carità...

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