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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu{{padleft:116|3|0]]mi è, non mi può essere amico: troppo diversi siamo; e quando anche lo diventasse, mio amico, a che mi servirebbe? Nulla può giovare alla mia rovina: si può restaurare una chiesa ed anche costruire un argine, non guarire un’anima che ha rotto intorno a sé le dighe della vita. Ma sono forse melanconie e stanchezze della sera, queste mie: suoniamo alla porta ospitale.

Viene ad aprirmi la donna col fazzoletto nero, ch’ella però s’è tirato in modo civettuolo sul bordo dei suoi chiari capelli crespi: gli occhi sembrano più grandi, belli, infantili, e mi sorridono come ad un vecchio amico di famiglia. Si è messa anche un grazioso grembiale bianco ricamato; ed ha, insomma, un’aria grottesca ma cordiale, di cameriera educata e di ingenua contadina.

— Il signorino è ancora fuori, — dice, introducendomi nel salotto; — ma sarà qui a momenti. Credo sia andato a salutare i signori Decobra.

È come se ella, con questa innocente notizia, mi dia uno spintone che mi abbatte sul divano: per un momento non vedo che la fiamma del camino; e simile alla fiamma sento dentro sbattere il mio cuore. Per fortuna sono solo ed ho tempo di riprendermi, di prepararmi alla solita commedia; e l’arrivo di Antioco mi rinfranca del tutto.

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