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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu{{padleft:221|3|0]]pure un senso di torbida curiosità la spingeva a pensare a lui, anche in quel momento, mentre il sacerdote bianco e tremulo si volgeva verso i fedeli, invitandoli a pregare.

Sì, ella aveva bisogno di confessarsi ancora, almeno davanti a Dio: poiché, d’impeto, come per un riverbero esterno, improvviso e allucinante, sentiva che tutta la sua esaltazione fanciullesca, nell’incontrare il gobbo, nello scendere nella strada, nel vedere i funghi e ricordare i boschi della sua adolescenza informe, era germogliata, quella mattina, dall’idea che un uomo giovane viveva nella sua casa e forse pensava a lei.

Piegò il viso sul libro, fino a sentirne l’odore di lucertola calda di sole, e chiuse gli occhi.

«Signore, tu vedi l’anima mia, come il pastore la pecora che tenta di sbandarsi. Riprendimi, legami, che io torni all’ovile e alla pastura di erbe semplici alla fontana d’acqua pura. Quell’uomo non deve stare in casa mia. Non tocca a me giudicarlo, né sapere quali sono i suoi doveri e le sue intenzioni: io non so nulla, e forse il mio stesso pensiero è tutto un inganno. Ma egli non deve stare in casa mia: questo è il regolamento».

Tutto il resto era fantasia, romanzo, inutile passatempo.

Il sacerdote si piegava ai piedi della Donna

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