< Pagina:Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

— 13 —

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu{{padleft:23|3|0]]quasi alle ginocchia: ella si tinge lievemente in viso di un colore di pietà, ma riprende la sua maschera di ghiaccio, quando egli solleva d’improvviso la testa e si scuote tutto come spogliandosi di un vestito pesante. Con voce dura e rauca, e quasi sgretolando le sillabe di ogni parola, dice:

– Dopo tutto la colpa non è mia: e bisognava farla finita una buona volta.

Aspetta ch’ella domandi che cosa è accaduto: i suoi occhi, adesso, implorano almeno la curiosità, se non l’interessamento di lei, ma ella rimane chiusa, con le ciglia ferme. Allora egli riprende.

– Questa notte abbiamo litigato: ma che dico questa notte? È già da una settimana che non si fa che questionare, come popolani affannati; peggio ancora, come villanzoni incoscienti. E non c’è stato un attimo di tregua. Lei mi odia, io la odio; e con tutto il male che mi vuole, con tutta la ripugnanza fisica che io le desto, è trivialmente gelosa, e accusa di nefandezze le persone alle quali io porto rispetto e venerazione. E gli improperî contro di me sono terribili: pare un’ossessa, lei che pure ha avuta una educazione fin troppo stretta e religiosa, lei che è fine e aristocratica per natura. E poi quasi ancora una bambina. Ma è proprio posseduta dal demonio.

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.