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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Deledda - L'argine, Milano, Treves, 1934.djvu{{padleft:34|3|0]]do, si sollevassero a gara, il più in alto possibile, per veder meglio dentro la sua casa.
Da anni ella li conosceva; e li vedeva crescere, nel sole, nella luna, nel grigio dell’inverno, nel rosso dei monti estivi; sempre tesi all’alto, puri e potenti nel cerchio delle miserie intorno; l’uno tentando di sopravanzare l’altro, ma sempre eguali, nobili, amici: e le sembrava di essere una loro terza compagna.
Anche adesso la confortavano, col loro esempio, col loro fresco splendore; e quando riabbassava gli occhi e riprendeva il lavoro, aveva la impressione di farlo con uno dei loro aghi, sul disegno dei loro trafori; tanto immersa nella sua volontà di solitudine che trasalì, quasi per la minaccia di un’altra visita simile alla prima, nel sentir bussare all’uscio.
È Pierina, che si rallegrò ancora una volta, in cuor suo, nel veder la padrona, quel giorno, così stordita e remissiva da potersene abusare: le chiese dunque il permesso di scendere un momento dalla merciaia, per comprare due metri di fettuccia che, dopo tutto, servivano per il grembiale di cucina.
– Va pure: torna subito.
– Signora, volo.
Il suo volo è come quello delle rondini migratrici: passa un momento, ne passano due, passa mezz’ora e Pierina non torna: la padrona