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Ma quando tutto intorno fu vuoto e silenzio, Nina sedette al posto di Agostino, col pugno sulla tavola come lui, e parve a sua volta fare dei calcoli.

Aspettava il ritorno del cognato e si domandava come conveniva trattarlo.

Nel silenzio e nella solitudine la sua pena si rincrudiva. Tutti intorno a lei riposavano: Agostino dormiva nel suo lettuccio da soldato, con giù sul pavimento nudo le scarpe che puzzavano di sudore: Gavino nel suo lettino bianco, con un’arancia sotto il guanciale, sognando le martore e gli agnellini di zio Predu: Mikedda, nel suo, sognando i buoi neri e il campo di grano del suo vedovo: e anche Annarosa dormiva il sonno della giovinezza e della primavera, quel sonno che, se anche nel cuore c’è un dolore nascosto, avvolge il corpo con un velo morbido di voluttà, e durante il quale le quattro dita lunghe della mano raccolgono e stringono il pollice come nei sogni della primissima infanzia.

Solo lei vegliava senza riposo. Attraverso la porta socchiusa sentiva l’odore

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