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— Prenditela pure, Pancrazio, se la vuoi. Siete neri entrambi come il tormento dell’inferno! — gridò Mikali, e rallentò la corda ai puledri che volarono via nitrendo. Andrea ebbe l’impressione che suo fratello lo sfuggisse: perchè? Forse per timore di un rimprovero a proposito di Ignazia. Cento volte gli aveva detto: «Mikali, non voglio che tu guardi le serve del mio stazzo». Mikali però non aveva scrupoli; fin dove potevano arrivare le sue braccia tutti i frutti intorno erano suoi.

Andrea rientrò pensieroso allo stazzo, in attesa del medico.

Il malato non aveva più febbre, ma col cadere della sera la sua agitazione nervosa aumentava; voleva alzarsi, metteva fuori le gambe, parlava sempre di Vittoria con lodi insensate, cosa che irritava zia Sirena, salvo il rispetto ai padroni.

— E va! Sembra ch’ella abbia posto una fattura sotto la porta per ammaliarli tutti e due — disse a Ignazia, in cucina. Ignazia però taceva, scura in viso come l’orbace delle ghette che cuciva pazientemente. — Eppure, m’ingannerò; ma Vittoria non vuol bene ad Andrea. M’ingannerò; il Signore lo voglia.

Prese un poco d’orzo in una mestola di legno e andò a spargerlo nel cortile; e fra lo schiamazzare dei volatili che le si gettavano attorno le parve di sentire in cucina un gemito selvaggio; ma rientrando vide Ignazia immobile curva sul suo lavoro.

— S’è lamentato?

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