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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Deledda - Le colpe altrui.djvu{{padleft:93|3|0]]suo sorriso di jana[1] maligna e generosa. Faceva ridere al solo guardarla, e Bakis Zanche aveva voglia di ridere; stanco di una vita di musonerie che gli rovinava il fegato, voleva almeno passare allegramente gli ultimi suoi anni. Ben venga anche la gobbetta, dunque, se vuol venire: Dio sa che chiasso e che pettegolezzi con tutte quelle donne in casa; ma egli vuole appunto così, movimento, rumore, chiacchiere; e se si azzuffano tanto meglio, egli si divertirà a separarle col bastone.

Chiamò Ignazia.

— Dove s’è ficcato il padroncino?

— Io non lo so.

— Tu non sai mai niente! Ti avverto che è tempo di smetterla con i musi lunghi. Divertimento voglio, qui, d’ora in avanti. Grazie a Dio, roba ce n’è. Gli affari vanno bene e la salute anche. Voglio che Vittoria porti qui la fisarmonica e tutto il giorno suoni, e voglio che tu canti la canzone (strinse i pugni e accennò a suonare lo strumento):

A ballare, a sartiare,
a finire sas iscarpas...[2]

Ignazia lo fissava con uno sguardo tragico; tanto che egli aprì l’armadio e le diede una manata di biscotti che zia Sirena teneva nascosti là dentro.

— Prendi; sei orfana, e se non ridi hai ragione. Ma verrà un giorno anche per te. Dim-

  1. Piccola fata.
  2. Ballare, saltare, consumare le scarpe...
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