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le tentazioni | 187 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Deledda - Le tentazioni.djvu{{padleft:193|3|0]] nava, si leccavano le piaghe, sbattendosi nervosamente la coda fra le coscie. Zio Felix si tolse la berretta, si scalzò, si segnò tre volte. Aveva nella mano destra, fra il pollice e l’indice, una piccola falce, o meglio un coltello in forma di falcetto. Sul petto, al disopra del gabbano, gli pendeva il mazzo delle sante reliquie, appeso al collo con un cordoncino unto. Egli sembrava inspirato: quando sollevava il volto verso la luna, i suoi occhiali brillavano come due enorme occhi di giavazzo.
Appoggiato ad un oleandro, Antine guardava: altre volte quelle cerimonie l’interessavano; ora ne provava quasi disgusto, sprezzante e ironico.
Zio Felix mormorava i berbos, le misteriose parole, con le braccia tese e il viso alto. Invocava egli la potenza della luna, degli astri, delle tenebre; lo spirito delle acque, le deità dell’aria? Certo, invocava qualche cosa, ma Antine non giungeva a capire le arcane parole. A un tratto zio Felix fece tre passi indietro, tese indietro le braccia, e si curvò all’indietro. Col falcettino spiccò tre steli di giunco, ritirò le braccia in avanti, si sollevò e andò verso