Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
196 | g. deledda |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Deledda - Le tentazioni.djvu{{padleft:202|3|0]] di tanto in tanto si permetteva chieder del denaro anche a lui, al suo povero pastore, il quale lavorava tutto l’anno come uno schiavo, per poter tenere il figliuolo agli studi ecclesiastici.
— Ti sei indugiato per ciò? — chiese ad Antine, che scese primo all’ovile. — Bada bene, figlio mio, tu sei un figlio di pastore, e il padrone è un cavaliere. Non ti conviene la sua compagnia.
— Perchè? Invece di ringraziare!... — disse Antine stizzito.
— Bene. Ringrazia fin che vuoi, ma sta attento. Non conviene dir male del prossimo, ma bisogna che tu sappia che don Elia non è compagnia per te. Egli è ricco e non vuole studiare. Piglia denaro dagli strozzini e se ne va nelle città a divertirsi, lasciando senza attenzione il fatto suo. Eppoi non crede in Dio.
— Cosa volete? I signori son tutti così; non ci credono. Ma Elia è così giovine! metterà testa.
— Resterà qui molti giorni?
— Non so: pochi, credo.
— Santa Varvara mia, fate ch’egli se ne vada domani, pregò fra sè zio Felix.