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230 | g. deledda |
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— Puh, gli diceva questo, sputandolo, — per quello che i padroni ti hanno fatto, volpe rognosa!
— Non t’importi di quello che i padroni mi hanno fatto! Fa il tuo dovere!
— Lo faccio, sicuro, e non è il mio dovere che faccio! Sei tu, agnello mio, che non hai mai saputo far il tuo, che l’aquila ti cavi un occhio!
— Per ora sei tu che ne hai uno solo.
— Meglio uno buono che quattro cattivi. — Accennava agli occhiali di zio Felix: e questo se ne andava per non proseguire il diverbio.
Il tempo passava: Antine taceva. Ma una volta Tanu dovette andare a Cagliari per testimonio, e lo vide e gli parlò. Portò all’ovile cattive notizie.
— Non ha denari: il padrone non gliene manda più. Pare che non ne abbia neppure per lui, perchè nessuno gliene vuol prestare. Antine vive a stecchetto: forse ha più fame che appetito. Dice che si farà soldato. Ha perduto i colori, sapete, zio Felix; eppure Cagliari è la più bella città del mondo.... ah, se vedeste!