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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Deledda - Nel deserto, Milano, 1911.djvu{{padleft:266|3|0]]irritato. — Per quest’estate ella andrà nella casina delle glicine: o ha paura di me? Venga qui; mi lasci parlare. Di che ha paura?
Lia era diventata pallidissima: l’amore e l’orgoglio scintillavano nei suoi occhi.
— Ma di che cosa? Non capisco.
— Lei capisce benissimo, invece! Ma è cattiva.... perchè? Perchè sempre così cupa, così inutilmente fiera? Cattiva, sì, con me, coi suoi bambini, con sèò stessa. Che crede ch’io non la veda? Lei è malata, deperisce e si uccide, sì, sì; non se ne accorge che si uccide? È questo il suo dovere?
— Qual è il dovere?
— Vivere, Lia! Vivere e amare.
— Ho vissuto e amato: adesso basta.
— Adesso basta? Perchè? Vada, vada, — egli gridò, sollevandosi sul gomito, — curi la sua salute, vada fuori di Roma. La casina è a sua disposizione fin da oggi: le ripeto, se vuole io non ci passerò neppure; se vuole posso andar via di qui: tutto, purchè non la veda soffrire!
Allora Lia s’appoggiò ai piedi del letto: tremava di nuovo, come quella sera alla finestra, ma d’un diverso turbamento. Non aveva più paura; le sembrava che se anche avesse appoggiato la testa sul petto di lui, egli non le avrebbe fatto che del bene.
— Lei è buono.... — mormorò.
— Non è vero! Se lo fossi, riuscirei a farmi