< Pagina:Deledda - Nel deserto, Milano, 1911.djvu
Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta.

— 275 —

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Deledda - Nel deserto, Milano, 1911.djvu{{padleft:281|3|0]]fondità del mare, nuvole simili a enormi teste scapigliate s’affacciavano all’orizzonte e attraverso i loro vapori s’intravedevano fiamme, ruote luminose e mostri di fuoco le cui lingue d’oro lambivano il ciclo ed il mare. Ma l’ovest rimaneva sereno, giallo e verde come una radura lontana; l’odore del mirto e della ginestra arrivava col vento.

L’allegria dei bimbi e dei grandi era sparita: tutti tacevano, davanti alla balaustrata, come affascinati dallo spettacolo della tempesta lontana. L’aria diventava umida.

— Ritiriamoci, — disse Lia. — È ora d’andare a letto!

I bimbi protestarono; ma ella prese Nino per mano e lo condusse, riluttante, in camera. Anche Salvador dovette ubbidire, ma entrambi si misero a piangere e ad invocare almeno la presenza del signor Piero. Il signor Piero entrò e si curvò sui lettini, mentre Lia, per calmarli, distribuiva un ultimo dolce. Essi piangevano e le loro lagrime cadevano sul guanciale con le briciole del pasticcino; e Lia ricordava la prima sera del suo matrimonio, ad Anzio, Justo curvo sul lettuccio di Salvador, e si sentiva inquieta.

— Lei dormirà giù, — disse a Piero, quando i bimbi tacquero. — Se vuole uscire questa è la chiave.

— Ma io non esco! Dove vuole che vada con questo tempo?

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.