< Pagina:Deledda - Nel deserto, Milano, 1911.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

— 28 —

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Deledda - Nel deserto, Milano, 1911.djvu{{padleft:34|3|0]]fronte, una fila di caso gialle lontane, e uno sfondo abbagliante di cielo.

Lia guardava quasi spaventata quel nido tutto bianco e azzurro: era lì che doveva vìvere? Le sembrava che non avrebbe potuto muoversi senza rompere qualche cosa.

Lo zio Asquer socchiuse la finestra e guardò nel lavabo, e all’improvviso, avvicinatosi all’uscio, cominciò a urlare come un ferito:

— Costantina! Costantina! Dannazione di cristiani! Acqua, acqua!

La serva accorse, pallida, insolente.

— Credevo ci fosse il fuoco!

— Adesso làvati e ripòsati, — egli disse a Lia, quando la serva portò la brocca dell’acqua, — poi parleremo.

Ella rimase immobile davanti a quella finestra luminosa che s’apriva su un mondo sconosciuto, non meno deserto, per lei, non meno vasto e ignoto della landa e del mare che fino al giorno prima avevano circondato il suo orizzonte; e finalmente si svegliò dalla sua ebbrezza.

«Parleremo poi». Di che? Non riusciva a immaginarlo, non sapeva ancora che cosa lo zio voleva da lei; ma sentiva che egli le restava lontano ed estraneo, più lontano e più estraneo di quando ancora non si conoscevano.

— Non mi ha neppure domandato notizie della zia Gaina.... non ha fatto altro che parlar con disprezzo dei nostri compaesani....

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.