< Pagina:Deledda - Nel deserto, Milano, 1911.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

— 35 —

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Deledda - Nel deserto, Milano, 1911.djvu{{padleft:41|3|0]]zurro, mentre dai giardini pensili della Villa Aldobrandini il vento faceva piovere petali di rose e di glicine, e le sembrava, parlando del paese e dei parenti, di raccontare un sogno.

— Sì, ella fa il pane per vivere.... È tanto buona, ma ha le sue idee.... Sì, io volevo studiare per diventar maestra come Pasqua Desortes, ma la fortuna non mi ha aiutato.... La casa cade in rovina; c’è molta miseria in tutto il paese.... Ah, come son poveri, se sapeste....

— Lo vogliono loro! — egli disse, quasi minaccioso. — Indolenti, asini! Si meritano la loro sorte....

Convinta dell’inutilità di combattere l’odio tenace dello zio contro i suoi compaesani, Lia non li difese: in fondo anche lei li considerava miseri, infelici, esiliati in un deserto ben lontano dal mondo civile: mondo per lei, in quel momento, rappresentato dalle vetrine, i caffè, i marciapiedi innaffiati di via Nazionale: la Sardegna era al di là di ogni orizzonte, faceva porte dell’Africa....

Ma ad un tratto lo zio Asquer s’alzò, e ripresero a camminare, a guardar monumenti e vetrine; e quando ella si trovò in mezzo alla folla, in una via stretta ove le donne eran vestite a festa e spandevan profumi, e gli uomini camminavano indolenti come chi non ha più nulla a fare, provò di nuovo un senso di solitudine e d’abbandono: le pareva di aver intorno una mu-

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.