< Pagina:Deledda - Nel deserto, Milano, 1911.djvu
Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta.

— 87 —

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Deledda - Nel deserto, Milano, 1911.djvu{{padleft:93|3|0]]la carrozza attraversava le vie e le piazze inondato di una luminosità argentea, si guardava attorno con curiosità, sentiva l’odore delle gaggie e delle rose, e ricordava il giorno del suo arrivo.

Roma le era ancora sconosciuta, e così il mondo e la vita. I due testimoni e lo sposo parlavano inglese e spagnuolo; ed ella, che capiva solo qualche parola di quest’ultima lingua, si sentiva, anche in quel giorno, lontana da tutti, abbandonata a sè stessa. Per confortarsi pensava a Salvador sembrandole di vederlo, saltellante e gorgheggiante nella casa del moribondo zio Asquer, come un uccellino in un cimitero. Il bambino infatti dava molto da fare a Costantina mentre questa preparava la colazione: appunto come gli uccelli egli provava una speciale ripugnanza a posare i piedi per terra; le sedie, i divani, i tavolini e i cardini degli usci erano i suoi punti d’appoggio preferiti. Per farlo star quieto Costantina lo incaricò di sgranare i piselli, e per qualche momento regnò una pace profonda, quasi inquietante.

— Salvador, cuoricino mio, che fai?

Egli taceva: ella andò a vedere e trovò un mucchio di buccie e nel grembiale turchino del bimbo solo due o tre granellini di piselli....

— Ah, — gridò disperata, — meglio aver a che fare con le bestie feroci che con bambini della tua età!

Meno male che il padrone, quella mattina, se

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.