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Da molto tempo non andavo in chiesa: e quella volta vi andai per una ragione apparentemente pratica. Mio figlio prendeva parte ad un concorso importantissimo, dall’esito del quale dipendeva il suo avvenire economico e sociale. Più che sicuro di sè, rifiutava sdegnosamente ogni raccomandazione: ma una piccola, diretta raccomandazione alla Madre di Dio non costa neppure la spesa del francobollo, non corre pericolo di gentili rifiuti o di vane promesse.

Vado dunque in chiesa. Scelgo una chiesetta che un tempo frequentavo, in un sobborgo della città: è vecchia, povera, ma con avanzi di mosaici e di vetri istoriati: dai finestroni aperti si vedono due pini, avanzi anch’essi di un antico parco; si sente l’ultimo garrire delle rondini; e le cantilene dei bambini che giocano e danzano nelle strade accompagnano il mormorio delle preghiere. La sera è calda, rossa, odorosa di polvere, ma sa anche di un lontano profumo campestre: sembrerebbe anzi di essere in un villaggio,

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