Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
10 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Della consolazione della filosofia.djvu{{padleft:10|3|0]]tuto difendere. Riconoscimi tu? tu stai cheto? taci tu per vergogna, o per istupore? Io per me vorrei più tosto per vergogna; ma, per quanto veggo, la tua mente è oppressa da stupore. E, veggendomi ella non solamente cheto, ma senza lingua ancora, e del tutto mutolo, mi pose la mano sopra il petto leggiermente. E’ non c’è, disse, pericolo nessuno: il mal suo è letargo, cioè grave e profondissima sonnolenza e sdimenticanza, male comune a tutti coloro i quali hanno la mente ingannata e delusa. Egli è alquanto a sè medesimo uscito di mente; ma ritornerà con poca fatica, se egli ebbe di noi vera contezza giammai: la qual cosa a fine che far possa, forbiamogli un poco gli occhi, che sono per la nebbia delle cose mortali offuscati. Così disse; e preso il lembo della vesta, e ripiegatolo in una falda, m’asciugò gli occhi, che gittavano lagrime a mille a mille.
LE TERZE RIME.
Quando l’alte celesti alme contrade
Ricuopre o folta nebbia o nembo scuro,
Sta Febo ascoso, e dal gelato Arturo
4Orribil notte a mezzo giorno cade;
Ma poscia che per l’ampie e lunghe strade
Del ciel dal tracio bosco e carcer duro
Soffia Aquilon, torna lucente e puro
8Lo sol, recando altrui nuova beltade:
Così dal cuore il duol, dagli occhi il pianto,
Dalla mente sparîr le nebbie e’ venti,
11E tornò in me la mia luce primiera,
Tosto che di sua man, tenendo intenti
Suoi lumi a me, la bella Donna altera
14M’asciugò ’l viso col suo lembo santo.