< Pagina:Della consolazione della filosofia.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

101

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Della consolazione della filosofia.djvu{{padleft:101|3|0]]verbigrazia quando noi smaltiamo i cibi presi, senza pensare a ciò; e come è quando, dormendo, rifiatiamo, non accorgendocene: perciocchè nè negli animali ancora l'amore, che hanno di bastare, procede dalla volontà dell'anima, ma dai principii della natura; onde la volontà costretta da alcuna cagione la morte, la quale la natura dotta e rifugge, spesse volte elegge e abbraccia; e per lo contrario quella opera del generare, mediante la quale sola dura la lunghezza delle cose mortali, e la quale la natura sempre desidera, raffrena la volontà. Tanto è vero l'amore, che portano tutte le cose a loro stesse, non da movimento d'animo venire, ma da istinto di natura, perchè la provvidenza di Dio diede a tutte le cose create da lei questa cagione, la quale è grandissima, di dover durare, che elle naturalmente desiderino d'essere quanto possono il più. Laonde tu non hai cagione nessuna di poter dubitare in modo alcuno che tutte le cose che sono, non appetiscano naturalmente il durare d'essere, e schifino quello che le dissolve e corrompe. Io confesso, risposi, di vedere ora indubitatamente quelle cose che mi parevano dianzi incerte. Ma quello, disse, che d'essere e di durare desidera, desidera ancora d'essere uno; perchè, levato via questo, a niuna cosa rimarrà nè l'essere ancora. È vero, risposi. Dunque tutte le cose, disse, desiderano l'uno. Risposi di sì. Ora noi abbiamo, disse, dimostrato che l'uno è quel medesimo che il bene. Così è veramente, risposi. Dunque tutte le cose, disse, desiderano il bene, il quale tu puoi descrivere così. Il sommo bene è quel-

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.