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LE TERZE RIME.
Le vele già del saggio duce Ulisse
E le navi per mare errando scorse,
All’isola Euro torse,
U' la figlia del sol, cui par non visse,
5Agli osti suoi tra dolci aspre vivande
Incantate mescea fiere bevande.
I quai non prima la possente mano
In varii modi con erbe converse,
Ch’un di lor ricoverse
10Di spumoso cignal grifo atro e strano;
Uno altro eguale ai più feri leoni
Cresce con dente duro e torti ugnoni.
Questi novellamente ai lupi aggiunto
Urla, piagner credendo; e quei, non sazia
15Qual tigre indica, spazia
Per gli ampi tetti a sì reo fato giunto:
Quell’altro, fatto o cervo o lepre o dama,
Più fugge ognor quanto restar più brama.
Or, sebben l’alto Dio d’Arcadia alato,
20Mosso a pietà del miserabil duce,
Dal velen, che n’adduce,
Lo sciolse in altro stato,
I suoi cari compagni nondimeno
I tristi sughi già bevuti avieno.
25Onde non Cerer più, ma solo il frutto
Del grande arbor di Giove ognun disia:
Nulla in essi è, qual pria,
Colla voce perduto il corpo tutto.
Sola la mente stabile i suoi danni
30Conosce, e piagne sì mostrosi affanni.
O troppo agevol man di Circe, e poco
Erbe possenti, e non forti liquori,
Le membra sì, ma i cuori