< Pagina:Della consolazione della filosofia.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

129

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Della consolazione della filosofia.djvu{{padleft:129|3|0]]guita, che allora finalmente siano da più gravi tormenti oppressi, quando la gente che siano impuniti si crede. Allora io: Quando considero, dissi, le tue ragioni, non penso che più veramente si possa dire; ma se io al giudizio degli uomini torno, chi è quegli a cui non paja che queste cose non pure non si debbano credere, ma nè ascoltare ancora? Così è, disse ella; perciocchè alla luce della risplendente verità gli occhi avvezzi nelle tenebre levare non possono, e sono a quegli uccelli somiglianti, la vista de’ quali la notte illumina, e il dì accieca; perchè, risguardando essi non l’ordine delle cose, ma i loro proprii affetti, stimano che coloro felici siano, i quali o possono peccare, o peccando non sono puniti; ma guarda tu quello che ordini la legge eterna: se tu conformerai l’animo tuo e lo farai somigliante alle cose migliori, tu non hai punto bisogno di giudice che ti guiderdoni, perchè tu stesso ti sei, colle eccellenti e divine cose congiugnendoti, fatto Dio; ma se alle cose peggiori lo studio e intendimento tuo piegherai, non bisognerà che tu cerchi di fuori chi ti punisca, perchè tu stesso, nelle cose basse e terrene avvallandoti, sei divenuto bestia, non altramente che se tu, per atto d’esempio, vicendevolmente ora la sozza terra e ora il cielo, tutte le cose di fuori cessando, riguardassi, egli per lo proprio modo e ragione del vedere ora nel fango ti parrebbe essere, e ora nel cielo. Ma il volgo non pon mente a queste cose, dissi io. Ed ella: Dobbiamo noi dunque, rispose, accostarci a coloro i quali essere alle bestie somiglianti dimostrato abbiamo? E se al-

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.