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PROSA TERZA.
Se la fortuna dunque favellasse teco in suo pro di questa maniera, tu per certo aprir la bocca contra lei non potresti; o, se pure hai cosa alcuna, onde possa giuridicamente difendere la tua querela, egli fa di mestiero che tu la dica, e noi ti concederemo spazio di poter ciò fare. Allora io: Belle veramente sono, risposi, coteste cose; e, perchè sono tinte tutte e coperte della soavissima dolcezza dell'arte rettorica e della musica, perciò tanto solamente dilettano, quando s'odono. Ma gli afflitti sentono il loro male più addentro; onde, tosto che queste cose non suonano più loro nell'orecchie, la mestizia, che hanno fissa nel cuore, aggrava loro l'animo. Ed ella: Così è, rispose; perciocchè questi non sono ancora i rimedii della tua infermità, ma alcuni come pittime o pannicelli caldi per alquanto mitigare il dolore, che non può ancora sofferire d'esser tocco e medicato; conciosiachè io, quando il tempo sarà, quelle medicine ti porgerò, che infino al cuore penetrare ti possano. Nondimeno, a fine che tu non voglia nè a te stesso dare a credere nè ad altrui d'essere infelice, dimmi, hai tu sdimenticato quante siano le tue felicità, e il modo come le avesti? Taccio che tu, essendo morto tuo padre, rimaso pupillo, fosti prima da uomini grandi nutrito e governato, poi da' primi capi della città scelto per genero, e, quello che più che altro ne' parentadi si debbe stimare, cominciasti ad essere loro prima caro, che parente. Chi non ti predicò felicissimo, avendo tu sì chiari suoceri, moglie