< Pagina:Della consolazione della filosofia.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.
56

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Della consolazione della filosofia.djvu{{padleft:56|3|0]]quelle virtù che agevolmente l'effetto d'esse mostra non essere vere. Laonde nè quelle ricchezze, nè quella potenza, nè questa dignità si possono ragionevolmente appellare. Il medesimo finalmente si può di tutta la fortuna conchiudere, nella quale è manifesto non essere cosa nessuna da potersi desiderare, nè bene alcuno naturale, posciachè ella nè si congiugne sempre co' buoni, nè fa buoni coloro coi quali s'accompagna.


LE SESTE RIME.

Ben sappiam quante all'alta Roma diede
  Ruine e danni quel ch'entro vi mise
  Per suo diletto crudelmente il foco;
  Quel che tanti de' padri, e tanti uccise;
  5Quel che 'l suo frate, ogni pietade e fede
  Rotta, a morte menò quasi per gioco;
  Cui del sangue materno parve poco
  Bruttarsi, e non bagnar di pianto il volto,
  Mirando il corpo esangue, chè ancor volle,
  10Non meno empio che folle,
  Lodare il loco ond'uscì fero e stolto.
  E pur reggea costui quanto'l sol mira,
  Da che leva di mane a che la sera
  Nell'onde ibere i suoi bei raggi asconde,
  15Là dove è sempre il ciel gelato, e donde
  L'austro piovoso, per la calda e nera
  Libia passando, a' nostri lidi spira:
  Nè di Neron poteo la rabbia e l'ira
  Frenar tanto ampio imperio: oh sorte acerba,
  20Quando empio e fer voler gran possa serba!

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.