< Pagina:Della consolazione della filosofia.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.
76

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Della consolazione della filosofia.djvu{{padleft:76|3|0]]se le dignità non possono far gli uomini degni di riverenza, se di loro natura per la corruzione de' cattivi divengono laide e sozze, se per mutamento di tempo lasciano d'essere chiare e onorate, se per la stimazione delle genti inviliscono, che bellezza non dico possono elleno dare ad altrui, ma hanno in sè, che si debba desiderare?


LE QUARTE RIME.

Sebben superbo di porpora e d'ostro
  Giva e di gemme ornato,
  Era però da tutto il mondo odiato
  Neron crudel, d'ogni lussuria mostro.
  5E pur malvagio a sì buon senatori
  Dava già sozzi imperi.
  Chi dunque penserà felici e veri
  Quei, che ne danno i rei, non degni onori?


PROSA QUINTA.

Or forse crederemo noi che li reami e la familiarità dei re possano fare alcuno possente? Perchè no, dirai tu, poichè la felicità loro dura perpetuamente? anzi tutta l'antichità è piena d'esempii, piena è ancora la presente età di quei re che, di felici, sono miserissimi divenuti. Oh bella potenza, la quale, non che altri, a conservare sè medesima non è bastevole! e, se questa potenza de' regni è quella che ne fa la beatitudine, non è egli necessario che ella, mancando d'alcuna parte, menomi la felicità e n'apporti miseria? Ora, avvengachè gli imperi mondani largamente si distendano, è nondimeno di necessità che molte nazioni si lascino, alle quali niuno delli re signoreggi;

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.