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Lettera Terza | 13 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Dieci lettere di Publio Virgilio Marone.djvu{{padleft:20|3|0]]un’anima fredda, e insensibile sapran screditare l’Illiade, l’Eneide, e tutto il Parnasso, che scrive per dilettare, e farsi intendere. Lasciate poi fare a’ Pacuviani, ed agli Enniani che ben sapranno moltiplicar l’edizioni a migliaja. Se ottengo solo otto o dieci seguaci fanatici e zelanti adoratori, questo mi basta. Dietro lor correrà tutto il mondo poetico, e que’ pochi meschini che ardiron nascere con buon orecchio, e con anima armonica, che gustano la chiarezza, la nobiltà, le immagini, e i voli della poesia, saran trattati da sciocchi, da ribelli, da empj bestemmiatori della sacra antichità, sicché dovranno tacersi per lo migliore. Udite, adunque, udite il divino Pacuvio, il divinissimo Lucilio:
- Vivite lurcones, comedones vivite ventres;
- Ricini auratae cicae, et ocraria mitra;
- Quinque hastae aureolo cinctu rorarius velox...
Ma tu hai ben torto, diss’io, rompendogli a mezzo que’ suoi magici carmi, perché nel vero, Pacuvio, Ennio, Lucilio e gli altri nostri barbuti Poeti non hanno bellezze da paragonarsi a quelle dell’italiano. Essi infine altro pregio non hanno fuor che l’aver cominciato a far uso di alcune robuste espressioni, e naturali con qualche maniera di metro rinforzandole. Ciò stesso è un pregio comune a quanti uscendo dalla barbarie tentano qualche cosa. Dante non dee mirarsi nè come Epico, nè come Comico Poeta. Non fece altro che descrivere un suo viaggio, e il capriccio non meno che le passioni furono, più che non io, sue vere guide, e compagne in tal via. Quello non da regole, che ignote erano al tempo suo, non da presenti esempli illustrato, in tante allusioni, in tanti simboli, ch’ei solo intendea, e in così svariati luoghi, ed obbietti