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Lettera Quinta | 31 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Dieci lettere di Publio Virgilio Marone.djvu{{padleft:38|3|0]]Ma che diremo de’ subiti slanciamenti di quell’affetto in tanti modi, e con tanto impeto espressi?
- Deh perche tacque ed allargò la mano,
- Che al suon di detti sì pietosi e casti
- Poco mancò, ch’io non rimasi in cielo!
e altrove
- Aprasi la prigione ov’io son chiuso,
- E che il cammino a tal vita mi serra...
e quel sì passionato
- Dolor, perche mi meni
- Fuor di cammino a dir quel ch’io non voglio...
e quell’altro:
- Lagrime triste, e voi tutte le notti
- M’accompagnate ov’io vorrei star solo...
Converrebbe ridirvi gran parte di ciò che udiste chi volesse di tutti i trasporti parlare di quella nobil passione, e così far dovrebbesi chi del suo stile intendesse di rendere piena ragione. Vero merito fu del Petrarca il creare per una poesia nuova una lingua, e uno stile affatto nuovo, e sol proprio degl’italiani dopo il suo esempio. I più nobili, i più gentili modi di dire, le grazie dell’elocuzione, le frasi insomma e l’espressioni poetiche, e proprie di lui, e degl’italiani, tutte, o poco meno, a lui son dovute. Il suo cuore e il suo ingegno ne furono i primi inventori, da niun di noi non le apprese, nè trasportò d’altra lingua, e quinci in alcuna altra lingua non ponno tradursi. Ciascuna ha le sue formole, come le terre e i climi hanno i lor frutti, e quelle e queste tralignano, o perdon di forza a trasportarle in paese straniero. Il Petrarca diede all’Italia le sue, nè per tempo, nè per vicenda non si perderanno giammai, che han troppo felice origine, e generosa. Egli stesso l’Amore le dettò di sua bocca al Poe-