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32 Lettera Quinta

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Dieci lettere di Publio Virgilio Marone.djvu{{padleft:39|3|0]]ta. Uditene alcune, e confessate, che poche n’ebbe la nostra lingua d’altrettanto leggiadre, espressive, concise, e vibrate or per la forza d’un solo aggiunto, or per la collocazione d’una sola parola, or per lo giro d’una tal frase, ed or per la sola trasposizione, o ancor per l’armonico e musicale andamento del verso soltanto. L’orecchio nel vero avea colui non men delicato del cuore e dell’ingegno. Piaga per allentar d’arco non sana - Qual maraviglia se di subit’arsi? - Lasciando tenebroso onde si move - Ov’ogni latte perderia sua prova - Che se l’error durasse altro non chieggio - Non era l’andar suo cosa mortale - E le parole sonavan altro che pur voce umana - Che ’l fren della ragione ivi non vale - Come ’l nostro operar torna fallace - E del mio vaneggiar vergogna è il frutto - Rotto dagli anni o dal cammino stanco - Alle lagrime triste allargo il freno - Tutta lontana dal cammin del sole - Dal manifesto accorger delle genti - E col tempo dispensa le parole - Fece di nuovi ponti oltraggio alla marina - Tutte vestite a brun le donne Perse - E tinto in rosso il mar di Salamina - Finché l’ultimo dì chiuda quest’occhi - Quando la gente di pietà dipinta su per la riva ringraziar s’atterra - E facea forza al cielo asciugandosi gli occhi col bel velo - Ma se più tarda avrà da pianger sempre - Il sole già fuor dell’Oceano insino al petto. E così d’infiniti altri somiglianti modi i più nuovi, i più gentili, i più forti, ed evidenti che possano alzare, e ingentilire una lingua, e darle insieme un colore ed un tono tutto suo proprio, ed originale. Perciò mi duol quasi ch’egli non sia poeta, fuorchè agl’italiani, a nessun’altra nazione familiare, poiché non può gustarsi da chi non ha sin dall’infanzia bevuta quella dolcezza tutta propria della lingua, e della poesia, ch’egli creò. Quindi è che noi stessi non

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