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40 | Lettera Settima |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Dieci lettere di Publio Virgilio Marone.djvu{{padleft:47|3|0]]
Ai Legislatori della nuova Arcadia P. Virgilio, Salute.
NOn cessavan gli antichi di maravigliare lo strano genio d’italia verso l’imitazione. Avevano udito dire, che questa gente, per ingegno, per vivida fantasia, e per naturale mordacità molto inclinava al mimico; e di ciò n’erano certe pruove i suoi Predicatori in gran numero, la quantità de’ saltambanchi, e ciurmadori; i teatri comici d’ogni Città; e insino all’indole generale della nazione, che al passo, al gesto, al ragionare ordinario sembra più teatrale, ed animata dell’altre. Ma che questo genio dovesse nell’opere dell’ingegno trasfondersi, ciò non s’intendeva, e parve a tutti miracolo, che contro l’uso di tutti gli uomini, e di tutte le genti avessero gl’italiani per cento anni e cento perseverato sempre cantando sul tuono istesso, e sul modello d’un solo senza stancarsi. Ragunatosi dunque il consesso de’ Greci, e de’ Latini maestri secondo l’uso, e questo argomento di nuovo trattandosi, alzò la voce Luciano, e disse: Ma che direste poi, se non solo al Petrarca nel Lirico, ma in tutte l’arti, e le scienze, e in tutti i generi di Poesia li vedeste ad alcuno giurare la stessa fede, e superstizione? Io che studio gli umani costumi curiosamente, ho voluto assicurarmi di questo prodigio, e in tutto il resto gli ho ritrovati, quali a voi sembrano nel Petrarchesco. Lascio a parte la filosofia, e le più alte scienze, poiche in