Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
Lettera Nona | 55 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Dieci lettere di Publio Virgilio Marone.djvu{{padleft:62|3|0]]
A’ Legislatori della nuova Arcadia P. Virgilio Marone Salute.
NOn posso esprimere lo stupore, che sempre più mi prendeva al conoscere le vicende avvenute su questa terra, e in Roma stessa dal mio secolo in qua. Gli avanzi del Panteon, de’ Teatri, degli Acquedotti mi certificavano con mio dolore, ch’io pur era in Roma. Ma il Popol Romano scemato di tanto, vestito come gli schiavi del mio tempo, marcito nell’ozio, e lentissimo nell’operare; sì poche ricchezze in tanta magnificenza di palagi veramente ancora romani; gli artefici scarsi benche eredi del genio antico, e del gusto più sano in ogni genere: gli usi infine, i costumi, i vestiti, e le fogge del vivere mi facevano credere, che se quella era Roma, fosse oggi abitata da cento diverse nazioni, nè più ricordasse d’esserne stata domatrice, e Signora. Gli spettacoli, è vero, più mansueti, e più piacevoli che non gli antichi mi parvero, i templi, e i riti più santi, e più augusti, i commodi della vita, il comercio socievole, la splendida urbanità de’ privati mi ricreavano, e il veder di continuo le Matrone Romane in cento cocchi lucenti più che quel di Giunone, e mezzo ascose dentro una nuvola ondeggiante, e ricca, che si move con loro, tal m’offriva immagine di grandezza, che Augusto egli stesso dopo l’Azziaca vittoria non ne avea tanta sul carro del suo trionfo. Ma